venerdì 19 settembre 2014

Una vita in lotta con la bilancia

Come per molti di noi la vita di una stella è una continua lotta contro il proprio peso

Per molti umani la lotta contro il proprio peso è una sfida continua. Forse può consolare il fatto che anche le stelle vivono da sempre, quotidianamente, lo stesso dramma. E nei casi in cui è il peso a vincere, a volte possono succedere disastri.

Una stella è sostanzialmente una sfera di idrogeno, come ad esempio il nostro sole.  L'idrogeno è l'elemento chimico di gran lunga più abbondante nell'universo: circa il 75% della materia ordinaria presente nell'universo è idrogeno (esiste anche la materia oscura, della cui natura non sappiamo nulla, ma per questa volta ignoriamola).

Grandi nubi di idrogeno possono addensarsi grazie alla reciproca forza di gravita. In realtà esistono a volte "aiuti" fondamentali all'addensamento delle nubi di idrogeno che vagano nelle galassie, compresa la nostra, aiuti che possono venire da forze di marea nei bracci della galassia, o proprio dalle stelle, da certe stelle, quando queste decidono di schiattare in modo plateale, ma di questo parleremo più avanti. Facciamo conto che, per vari motivi, ad un certo punto nubi rarefatte di idrogeno comincino ad auto-attirarsi gravitazionalmente condensandosi sempre più, perché questo è quello che si osserva realmente.

In questa fase la forza di gravità, e in buona sostanza il loro peso, rende le nubi sempre più dense. E man mano che diventano dense, le nubi si scaldano. I telescopi ci mostrano moltissime di queste nubi nella nostra galassia. Riusciamo a vederle perché scaldandosi diventano luminose, e emettono onde elettromagnetiche sotto forma di raggi infrarossi, visibili tramite speciali telescopi.

La nebulosa Trifida, una fucina di stelle, vista nella luce visibile (a sinistra) e nell'infrarosso (a destra), che evidenzia le zone calde dove il gas si sta comprimendo e scaldando per dare vita a nuove stelle.
Più le nubi si addensano e più si scaldano, e ad un tratto in certi punti il loro interno diventa talmente caldo da raggiungere temperature di decine di milioni di gradi. Vi può sembrare strano che una nube di gas, che appare rarefatta come uno sbuffo di fumo, pesi talmente tanto da comprimersi e raggiungere al suo interno temperature di decine di milioni di gradi? Provate a tenere sulle spalle un peso pari a mille miliardi di miliardi di miliardi di chili, quale è la massa del sole, e poi ditemi se quel gas all'apparenza così rarefatto non pesa!

Il telescopio Hubble è addirittura capace di vedere all'interno di queste nubi di gas dei "dischi protoplanetari", ovvero condensati di gas che daranno vita a sistemi solari analoghi al nostro.  Ne sono stati individuati più di 150 soltanto dentro la Nebulosa di Orione, e rappresentano l'evidenza che ogni sistema planetario ha origini simili in tutto l'universo. Non è una cosa pazzesca, di una bellezza e di un fascino incredibili, osservare altrove quello che dalle nostre parti è avvenuto 5 miliardi di anni fa?

Dischi protoplanetari nella Nebulosa di Orione.
Comunque quando il peso della nube di gas ha reso il suo interno così denso e caldo, i nuclei di idrogeno (che sono poi principalmente protoni, ovvero le cariche positive presenti nel nucleo di qualunque atomo) che compongono la nube hanno sufficiente energia cinetica (energia di movimento: in un gas maggiore è la temperatura e maggiore è la velocità delle particelle che lo compongono) da sbattere fra loro riuscendo ad avvicinarsi a distanze dell'ordine di un decimillesimo di miliardesimo di centimetro. Non è facile per due protoni avvicinarsi così tanto, perché i protoni - entrambi di carica elettrica positiva - più cercate di avvicinarli più si respingono. Soltanto spingendoli con grande forza uno contro l'altro si riesce a vincere la repulsione dovuta alle loro cariche elettriche. E a 10 milioni di gradi questo avviene. In questa condizione difficile da riprodurre sulla terra (per questo quelli che cercano di realizzare la fusione nucleare per produrre energia trovano così tante difficoltà) i nuclei di idrogeno (ovvero i protoni) "fondono".
Stelle di appena 5 milioni di anni in una "star nursery" a 200mila anni luce dalla terra.

In realtà questo processo avviene grazie a un trucchetto della natura, uno di quei giochi di prestigio della meccanica quantistica, la scienza che regola il mondo dell'estremamente piccolo. La fusione fra due protoni, è favorita da un fenomeno che si chiama effetto tunnel, che non ha eguali nel mondo macroscopico a cui siamo normalmente abituati.  Nel mondo "normale" infatti, se dobbiamo scavalcare un muro, o saltiamo abbastanza in alto da andare di là, oppure ciccia. Non è che aspettando vicino al muro, o saltando meno dell'altezza del muro, o magari stando tutti spiaccicati alla parete, possiamo sperare di ritrovarci dall'altra parte. Nel mondo delle particelle e degli atomi questo invece può succedere. Può accadere che una particella possa ritrovarsi dall'altra parte di un muro anche se non ha abbastanza energia per superarlo. Il muro di cui stiamo parlando è ovviamente la repulsione elettrica fra due protoni, che impedisce loro di avvicinarsi troppo. La temperatura all'interno del sole, pur estremamente elevata, sarebbe di per sé mille volte troppo bassa per dare ai protoni così tanta energia da farli avvicinare reciprocamente, vincendo la loro repulsione elettrica. L'effetto tunnel invece riesce a far sì che due nuclei sufficientemente vicini, ma non abbastanza per vincere la loro repulsione elettrica, si compenetrino comunque dando inizio al processo di fusione nucleare. E nel sole questo succede.

La fusione e' un processo nucleare che passa attraverso varie fasi, ma nel sole ha il risultato di trasformare 4 protoni, cioè nuclei di Idrogeno, in Elio, come nella figura.  Quindi si parte con 4 protoni, e si finisce con 2 fotoni (i raggi gamma, le biscioline della figura), 2 positroni (le antiparticelle degli elettroni), due neutrini e un nucleo di Elio4. Il 4 sta per il numero totale di neutroni e protoni che lo compongono.

Il punto cruciale è che la massa totale dei prodotti della reazione è un po' inferiore alla massa iniziale dei 4 protoni. La differenza è piccola, grosso modo lo 0.5% della massa iniziale. Questa piccola frazione di massa che si perde per strada durante la reazione viene trasformata in energia, grazie alla famosa equazione E=mc2, che ci dice sostanzialmente che E e m, energia e massa, sono quantità interscambiabili, e in questo caso una piccola parte di massa (m) si è trasformata in energia (E). Però anche se m è piccolo, va moltiplicato per c al quadrato, che è un numero molto grande. Il risultato sarà perciò un'energia molto grande. In una singola reazione si produce l'energia che ha una zanzara quando si muove alla velocità di un millimetro al secondo. Molto poco vero? Però moltiplicatela per le 10 alla 38 reazioni che ogni secondo avvengono all'interno del sole, e viene fuori che il sole "spreca" 4 tonnellate di idrogeno ogni secondo per produrre energia. E' quell'energia che ci permette, a noi terrestri, di vivere. 

Questa energia si manifesta come energia dei neutrini, e quei due raggi gamma. I raggi gamma sono la luce. Oddio, quando vengono prodotti non sono proprio la luce come la intendiamo noi, ma hanno molta più energia, e ci cuocerebbero di brutto se arrivassero fino a noi in quel modo. Ma da quando vengono prodotti dall'interno del sole, per trovare la strada attraverso il densissimo nucleo di idrogeno, vengono assorbiti e riemessi in continuazione, sbattono di qua e di la, e alla fine, dopo qualche milione di anni (si avete letto bene, milione!) riescono a uscire dalla superficie solare, un filo provati dallo sforzo tanto che una parte della loro energia si è persa per strada. E a quel punto, dopo aver sgomitato per un milione di anni per risalire fino alla superficie esterna del sole, ci appaiono (miracolo!) come luce, la luce vera stavolta, la cara vecchia luce del sole, che se la guardi soltanto un attimo ti acceca ma senza la quale saremmo fottuti.

E il resto dell'energia? Quella che si perde per strada dentro il sole dove va a finire? Serve al sole per non cadere su se stesso! L'avevamo detto che la vita di una stella è una perenne lotta con il proprio peso. L'energia prodotta dalle reazioni nucleari all'interno del sole serve anche in buona sostanza al sole per non crollare su se stesso vittima del proprio peso (che è un signor peso!). Il sole, raggiunta questa condizione di equilibrio, diventa stabile. Ha i suoi cicli, d'accordo, i suoi alti e bassi, ma sostanzialmente resta sempre lo stesso. E' così da circa 5 miliardi di anni, e resterà tale per altrettanti. Quindi fra tutte le incertezze che costellano la nostra vita, almeno la certezza che il sole non ci abbandonerà nei prossimi anni, ce l'abbiamo.

C'è un aspetto interessante sulle reazioni che avvengono all'interno del sole. La prima fase della catena di reazioni è un processo in cui due protoni si trasformano in Deuterio (pallina rossa + pallina blu della figura), un positrone e un neutrino. Questa reazione avviene tramite la cosiddetta "interazione debole".  I processi deboli, lo dice la parola, sono pigri. Avvengono con fatica. I protoni quando devono interagire "debolmente" fanno i preziosi, e cincischiano. Questo ha una ripercussione fondamentale sul sole, sulle stelle, e alla fine su di noi: rende il sole longevo. La "difficoltà" con cui avviene l'inizio della reazione nucleare che permette al sole di produrre energia, e quindi di esistere, fa sì che il sole usi il suo carburante, l'idrogeno, con parsimonia, e lo faccia durare abbastanza da permettere a un anonimo pianeta di sviluppare un'atmosfera decente, e permettervi la nascita della vita. Se quel processo non fosse stato "debole", ma una reazione nucleare di tipo "forte", il sole avrebbe consumato tutto il suo carburante in troppo poco tempo, e noi adesso non saremmo qui a leggere questo bellissimo articolo.

Ma quando il carburante di una stella comincia comunque a scarseggiare, dopo essere stato utilizzato per centinaia di milioni o addirittura miliardi di anni, che succede? Il peso della stella è sempre lì in agguato. Come fa a autosostenersi, la stella, come fa a bilanciare il suo peso e non crollare su se stessa quando le reazioni nucleari al suo interno cominciano a perdere i colpi? 

Risposta: non ce la fa! Ad un certo punto, la stella abdica alla sua lotta eterna con la bilancia, perché il suo carburante si è esaurito, e le reazioni nucleari al suo interno non riescono più a produrre abbastanza energia da bilanciare il suo peso e sostenerla.  Gliela dà su, insomma. E Quando gliela dà su, sono cavoli amari, perché il nucleo della stella comincia a crollare su se stesso senza freni, senza niente che si opponga al crollo.

Se la stella è come il nostro sole, che non è una stella molto massiva, il crollo ad un certo punto si arresta. Per la verità il crollo è preceduto da varie fasi in cui la stella diventa molto più grande delle dimensioni attuali, centuplicando il proprio diametro (noi per quell'epoca, ammesso di essere ancora in giro, avremmo fatto meglio a cercarci un altro posto dove andare). Comunque ad un certo punto, a causa delle reazioni nucleari sempre meno efficienti, il peso della stella schiaccia il suo interno, formando un nucleo densissimo. Immaginate di impacchettare tutta la massa dell sole in un oggetto grande più o meno come la terra: questo corrisponde a una densità di circa 1 tonnellata per centimetro cubo. Un dado di questa stella peserebbe 1 tonnellata, insomma.

La materia in queste condizioni si trova in uno stato detto "degenere", in cui gli atomi non esistono più, e gli elettroni e i nuclei sono impacchettati il più vicino possibile. La pressione a cui è sottoposta la materia è bilanciata da un fenomeno quantistico che si chiama Principio di Pauli. Il principio di Pauli dice, in termini un po' approssimativi ma sostanzialmente corretti, che due elettroni non possono coesistere "vicinivicini" nelle stesse condizioni. In pratica non potete impacchettare elettroni più vicini di un tot. E' il motivo per cui gli atomi di elementi diversi sono diversi. Se infatti aggiungete elettroni attorno a un nucleo per formare elementi più complessi a partire dall'idrogeno (che ha un solo elettrone), gli elettroni devono andare ad occupare "strati" diversi, perché il Principio di Pauli impedisce loro di stare troppo appiccicati uno contro l'altro. E' il motivo, quindi, per cui elementi diversi hanno proprietà diverse, e quindi esistono i legami chimici, e quindi esiste la varietà della materia e della natura. Senza il principio di Pauli il mondo sarebbe di una monotonia pazzesca, ammesso che possa esistere un mondo!

Una nebulosa planetraria, NGC2392, con la stella calda al centro, e l'involucro gassoso, emesso circa 10000 anni fa'.

E all'interno di questo nucleo densissimo, frutto del crollo di una stella "leggera" come ad esempio il sole, gli elettroni sono così appiccicati da non potersi più compenetrare uno con l'altro. Una stella di questo tipo si chiama "nana bianca". Nana perché piccola (come la terra, ad esempio), bianca perché all'inizio molto calda, con temperature iniziali di 100 milioni di gradi. Il sole, fra 5 miliardi di anni, farà questa fine. I residui di stelle morte di questo tipo si chiamano "nebulose planetarie". Tipicamente hanno una stellina al centro, la nana bianca appunto, residuo della stella che ha originato il patatrak, e un anello esterno che è l'involucro esterno della stella che fu. Le misure spettroscopiche mostrano che l'involucro esterno si espande lentamente, sospinto dalla pressione della luce emessa dalla stella (sì, la luce esercita una pressione!).

E se la stella è più massiva? Se il suo peso è così grande da vincere la repulsione causata dal Principio di Pauli? Qui le cose si fanno serie, e queste stelle hanno una morte molto tormentata. Ad un certo punto all'interno della stella l'idrogeno comincia a scarseggiare, ma la pressione è tale da accendere reazioni nucleari anomale, dove si brucia non più idrogeno ma quello che passa il convento, cioè i prodotti della fusione nucleare dell'idrogeno. Il processo avviene velocemente e porta alla produzione di elementi sempre più pesanti: Silicio, Cobalto, Titanio, Manganese, Zolfo, Cromo, Potassio, e via via fino al Ferro.

E poi, quando proprio la stella ha esaurito ogni sua risorsa, crolla. E quando crolla non si ferma allo stato di nana bianca, perché il suo enorme peso se ne fa un baffo del Principio di Pauli, ma continua a crollare, e all'interno del suo nucleo la pressione fa fondere i protoni con gli elettroni trasformandoli in neutroni e neutrini. In questo processo il grande flusso di neutroni trasforma una parte degli elementi chimici prodotti nella stella in elementi più pesanti del Ferro. Quello che si forma al centro della stella da questa catastrofe si chiama "stella di neutroni". Una stella di neutroni ha una densità pari a quella di un nucleo atomico, ha la massa del sole o anche di più, ma ha dimensioni di  qualche chilometro. Al suo interno la materia si trova in uno stato degenere, in cui i neutroni sono appiccicati l'un l'altro come in un enorme nucleo atomico, e dove il Principio di Pauli, sempre lui, impedisce ad essi di sovrapporsi completamente.


La Crab Nebula oggi, 1000 anni dopo l'esplosione che l'ha prodotta.
E il resto della stella? Gli strati esterni? Nel collasso (questo crollo della stella su se stesso si chiama "collasso gravitazionale") si produce un'onda d'urto che scaglia con violenza le parti esterne della stella verso l'esterno, in un'immensa esplosione. Una stella del genere si chiama "supernova". La stella emette in brevissimo tempo una quantità di energia pari a 10 alla 44 Joule, molto più di quanto emette il sole 10 miliardi di anni di esistenza, principalmente in neutrini e fotoni (luce), tanto da diventare in poche ore più luminosa della galassia che la ospita.

Nella nostra galassia le supernove sono rare. In media ne esplode una ogni 50 anni. Su 300 miliardi di stelle che ci sono, non è molto. Ci sono tracce di supernove negli archivi storici, soprattutto cinesi e arabi. Una delle più famose e' esplosa nel 1054 D.C., nella Costellazione del Toro. In pochi giorni diventò talmente luminosa da essere visibile anche di giorno per diversi mesi. Ne parlano gli annali cinesi, all'epoca attenti ai fenomeni celesti. Quelli europei invece sono molto imprecisi in proposito, forse perché il cielo all'epoca era rigorosamente immutabile per legge e una stella "ospite", come veniva chiamata, destava preoccupazione e era meglio non parlarne. Chissà come se la sono fatta sotto all'apparizione di una stella del genere. Oggi, al posto di quella stella, c'è una nuvoletta che prende il nome di Crab Nebula. La nuvoletta è il materiale proiettato nello spazio dall'esplosione della supernova.
Una galassia distante e, in basso, una supernova al suo interno, luminosa almeno tanto quanto la galassia stessa.

Al suo interno c'è una stella che emette impulsi elettromagnetici 30 volte al secondo. Stelle del genere si chiamano pulsar, e sono le stelle di neutroni residuo della stella esplosa. Tipicamente le stelle hanno un campo magnetico, e ruotano attorno al proprio asse. Il sole ad esempio ruota su se stesso in circa 25 giorni. Quando la stella si trasforma in una stella di neutroni, la sua dimensione si riduce di molto, ma il momento angolare rimane inalterato (è uno dei principi fondamentali della fisica). E quindi la stella fa un po' come la pattinatrice che quando ruota su se stessa a braccia aperte e poi d'improvviso le raccoglie attorno al busto ruota più velocemente: diminuisce il proprio momento di inerzia, e quindi di conseguenza, per la conservazione del momento angolare, aumenta la sua velocità di rotazione. La stella fa la stessa cosa. Il campo magnetico della stella rimane intrappolato all'interno della pulsar ruotante ad alta velocità, e muovendosi in tal modo diventa come un faro cosmico, che manda impulsi ad alta frequenza. La pulsar più veloce mai scoperta ha un raggio stimato di circa 16Km, una massa pari a due volte quella del sole e ruota su se stessa 716 volte al secondo. All'equatore la sua velocità di rotazione è circa il 24% della velocità della luce, più di 70000 Km/s

L'energia emessa da una supernova in pochi giorni è enorme, molto maggiore dell'energia totale emessa dal sole in tutta la sua esistenza. La supernova emette energia sotto forma di luce, ma ancor più sotto forma di neutrini. Una supernova può emettere qualcosa come 10 alla 58 neutrini, ognuno di energia di 10-15 MeV, in pochi secondi. Se dovesse esploderne una a distanza di qualche decina di anni luce dalla terra l'atmosfera del nostro pianeta verrebbe probabilmente seriamente danneggiata dall'intenso flusso di raggi gamma, con conseguenze facilmente immaginabili per la vita. Per fortuna non ci sono stelle a rischio nei paraggi. La stella che si ritiene più a rischio da queste parti, si fa per dire, e' IK Pegasi, distante 150 anni luce, e probabilmente destinata a trasformarsi in una supernova di tipo Ia, quelle peggiori (ci sono vari tipi di supernove, a seconda del meccanismo che causa il collasso). Però direi che ci sono problemi più urgenti, al momento... Si ritiene però che alcune delle grandi estinzioni di specie viventi che hanno caratterizzato la storia passata della terra possano essere state causate da esplosioni di supernove vicine (fonte).

Nel 1987 e' esplosa una supernova, chiamata SN1987A, in una piccola galassia satellite della nostra, la Grande Nube di Magellano, a una distanza di 170 mila anni luce dalla terra. Essa costituisce al momento l'unica supernova della nostra galassia mai osservata e studiata con i moderni strumenti scientifici. Alcuni esperimenti dedicati hanno rivelato anche il fiotto di neutrini coincidente con il collasso gravitazionale della stella, e qualche ora dopo sono arrivati i fotoni del segnale luminoso. Adesso SN1987A e' una pulsar circondata da una nube dalla forma strana, residuo dell'esplosione.

La supernova SN1987A oggi, a 25 anni dall'esplosione. In alto a destra l'immagine ingrandita.

La cosa interessante è che il materiale espulso con violenza nello spazio da una supernova contiene tutta la gradazione di elementi chimici possibili, fino all'Uranio e il Plutonio. Elementi di questo tipo sono molto rari nell'universo, che è fatto sostanzialmente tutto di Idrogeno e Elio, prodotti in abbondanza nei primi minuti dopo il Big Bang. Tutti gli altri elementi, rarissimi nel computo totale della materia presente nell'universo, ma fondamentali per dare origine alla varietà della materia, vengono "cucinati" all'interno delle stelle, e emessi nello spazio dalle esplosioni di supernove. Quindi gli atomi della forchetta con cui mangiamo, o del ferro del nostro sangue, e sostanzialmente tutto ciò che non è Idrogeno o Elio attorno a noi, svariati miliardi di anni fa si trovavano da qualche parte all'interno di una stella che adesso non c'è più. Anche l'Oro del nostro anello di matrimonio è stato forgiato negli ultimi catastrofici istanti della vita di una stella. Siamo tutti "stardust", polvere di stelle.

E se la massa della stella è ancora più grande? In tal caso il collasso della stella diventa inarrestabile, e la stella sfonda qualunque tipo di pavimento che la possa sostenere. E mentre gli strati esterni vengono espulsi nello spazio con la violenza della supernova, il nucleo interno collassa senza freni, crollando sotto il peso della forza di gravità trasformandosi in un oggetto tra i più incomprensibili dell'universo: un buco nero.

E gli strati esterni della stella, proiettati con violenza nello spazio, che fanno? Cosa ne è di loro? L'onda d'urto di una supernova può indurre la formazione di nuove stelle. All'inizio abbiamo detto che le nubi di idrogeno possono ricevere un aiuto esterno che ne favorisce la compressione per coagularsi in stelle. E quindi supponiamo che non troppo distante dalla supernova si trovino delle nubi di idrogeno, che stanno li belle tranquille, quando arriva l'onda d'urto, che le comprime e le riscalda, oltre a riempirle di elementi chimici pesanti. E a questo punto succede che... "ragazzi, tutti ai vostri posti, ne facciamo un'altra!!!"





3 commenti:

  1. Affascinante! Letto tutto d'un fiato.
    Grazie per divulgare queste cose in maniera così bella ed appassionata.

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  2. Sto leggendo i vecchi articoli di questo blog perché li trovo sempre molto interessanti.
    Per quanto riguarda questo articolo avrei una domanda sulla figura che mostra la catena di reazioni della fusione. In particolare la seconda reazione, quella che da un protone e un nucleo protone+neutrone produce un nucleo 2 protoni+neutrone e un fotone: non capisco come si forma il fotone. Mentre la prima reazione (quella che da due protoni produce un nucleo protone+neutrone, un neutrino e un positrone) mi è "chiara", nel senso che posso supporre che la trasformazione di un protone in neutrone produca altre particelle, nella seconda reazione le particelle finali sono le stesse di quelle iniziali, dunque da dove viene il fotone? Ammetto la mia ignoranza...

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    1. Il disegno è molto schematico, e quel blob arancione implica un qualche tipo di interazione. Nel caso del processo con emissione di neutrini, si tratta di un'interazione debole. Invece, nel caso di emissione di un gamma (fotone), si tratta di un processo nucleare forte, in cui due nuclei di idrogeno producono un nucleo di elio, più un fotone. Il fotone deriva dalla differenza di energia tra lo stato iniziale e finale. Può essere visto come l'analogo di una transizione da un livello atomico a un altro: in quel caso l'atomo resta lo stesso in termini di contenuto di particelle, ma l'energia del livello è diversa, e per compensare questa differenza di energia e conservare l'energia totale, viene emesso un fotone.

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